CON LE DEROGHE DOMENICALI NON AUMENTA L’OCCUPAZIONE
Nr. 17 del 01/10/2001
L’opinione delle Organizzazioni sindacali del Terziario
Nessuna posizione preconcetta contro le aperture domenicali dei negozi, ma una scelta di questo tipo va attentamente valutata, concertata e soprattutto pianificata per le conseguenze che comporta nei confronti dei dipendenti. I rappresentanti vicentini di Filcams (Cgil), Fisascat (Cils) e Uiltucs (Uil), le organizzazioni sindacali del terziario, concordano sulla assoluta inadeguatezza di una scelta fine a se stessa, senza alcun confronto a tutto campo sui problemi che, inevitabilmente, si innescano. A cominciare dall’impossibilità per i lavoratori, ma soprattutto per le lavoratrici, visto l’altissima presenza femminile nel comparto, di coniugare i ritmi di lavoro con i «normali» tempi della vita famigliare, per non parlare della questione sicurezza e della carenza dei mezzi di trasporto pubblico, fino alla mancanza di altri servizi funzionanti sul territorio nei giorni festivi, in particolare quelli di custodia e cura dei bambini e degli anziani.
Altra opinione comune è che non c’è, almeno per ora, correlazione tra le aperture domenicali e la creazione di nuovi posti di lavoro, semmai finora le deroghe festive hanno concorso a creare malumore tra i lavoratori del commercio, compresi i negozianti.
Per tutti, la domanda di fondo è se le aperture in deroga domenicale, decise dai Comuni riconosciuti città d’arte o ad economia turistica siano, indipendentemente dal contesto economico e sociale, una conquista oppure, viste le attuali esperienze dei lavoratori e dei piccoli commercianti, motivo di disagio.
«L’apertura domenicale è comprensibile in zone, quali l’Altopiano di Asiago, dove vi è un effettivo richiamo turistico e dove il turismo è un pilastro del tessuto economico - è l’opinione di Sergio Baù, segretario generale della Filcams di Vicenza - In altre aree vanno invece valutati i pro e i contro di simili provvedimenti attraverso la strada della concertazione».
«Anche perché - sottolinea Grazia Chisin, segretario provinciale della Uiltucs - Vicenza non è organizzata per le aperture domenicali. Se si vuole realmente garantire questa possibilità ai turisti e ai cittadini - prosegue - bisogna allo stesso tempo prevedere altri servizi essenziali: penso ai trasporti, per esempio, ma anche a servizi per le lavoratrici che devono trovare soluzioni per la custodia dei figli». Su questi argomenti, è l’opinione comune dei rappresentanti dei lavoratori, le amministrazioni non hanno fatto nulla: non c’è stato il tentativo di pianificare tutte le conseguenze di tali provvedimenti, lasciando sostanzialmente allo sbaraglio lavoratori e piccoli commercianti. «Non c’è stato- afferma Costantino Vaidanis, componente della segreteria provinciale della Fisascat - un progetto di base che ha guidato l’azione dei comuni. Si è proceduto per tentativi, con le conseguenze che ciò comporta». «Come possiamo parlare di Vicenza città d’arte - rincara Grazia Chisin - se non si fa nulla per creare un indotto, per trattenere il turista che attualmente a Vicenza arriva e se ne va nell’arco di una giornata? Anche a livello di attrazione culturale la città è in grado di offrire ancora troppo poco per pensare di incrementare la propria economia turistica».
E alla fine, a farne le maggiori spese, sono soprattutto i lavoratori. «Invece di assumere nuovo personale - spiega Sergio Baù della Filcams - si tende a coprire le aperture domenicali «tirando» sugli orari dei dipendenti, che spesso hanno perfino difficoltà ad usufruire di permessi o ferie. In quelle case, poi, dove entrambe i coniugi lavorano nel commercio, capitano persino situazioni in cui per mesi non si riesce a riunire la famiglia. Oggi parliamo tanto di flessibilità, ma la flessibilità non può essere quella che costringe lavoratori e piccoli commercianti a lavorare anche 16 ore al giorno senza la possibilità di un turno di riposo».
«Rischiamo di farci travolgere da un cultura consumistica - è l’opinione di Costantino Vaidanis della Fisascat - che non porta alcun beneficio all’individuo. Qualora anche fosse dimostrato che la gente richiede aperture festive o notturne dovremmo almeno chiederci se valga la pena di seguire questo indirizzo. Anziché assecondare queste abitudini non sarebbe invece meglio far capire alle persone che nella vita esiste altro al di là dello shopping a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno? Guardiamo ad altri Paesi, come l’Austria: lì i negozi sono chiusi perfino il sabato e non credo che questo danneggi o avvantaggi alcuno».
Chi ha fatto della protezione della famiglia la propria bandiera politica, dunque, dovrebbe chiedersi se i provvedimenti di apertura domenicale non siano in contraddizione con i tali valori. «I tanti lavoratori del commercio non fanno del lavoro domenicale una questione di retribuzione - afferma Grazia Chisin - ma una questione di qualità della vita. Si tratta di lavoratori già obbligati a lavorare il sabato, perché togliere loro anche la possibilità di stare in famiglia la domenica? E se proprio non si può farne a meno, almeno non facciamo pesare questa situazione garantendo alcuni servizi utili come il trasporto, la possibilità di parcheggio, l’apertura di servizi di accoglienza per bambini o anziani». «Senza dimenticare un altro aspetto - dice Sergio Baù - quello della sicurezza. Per garantire il prolungarsi delle aperture spesso si è costretti a far restare una sola persona in negozio. C’è poi chi è obbligato a tornare a casa tardi al lavoro. Eppure tutti, categorie economiche e amministrazioni locali, lamentano che le nostre città sono sempre meno sicure. Perché dunque sottoporre lavoratori e piccoli imprenditori ad ulteriori rischi?».
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