ARTICOLO 18, UNO STERILE BRACCIO DI FERRO
Nr. 07 del 09/04/2002
La divergenza tra governo e parti sociali è legata in larga misura alla non corretta interpretazione del problema
Rebecca: “La modifica della norma ha un effetto assolutamente marginale rispetto alle esigenze delle nostre imprese ed il conflitto sull’argomento sta distogliendo l’attenzione da questioni ben più importanti”
Articolo 18: il confronto, sia pure molto difficile, fra governo Berlusconi e parti sociali, va avanti da mesi. La trattativa resta apertissima anche se le posizioni, come dimostra lo sciopero generale indetto dalle organizzazioni sindacali, si sono fatte via via più divaricate fino a sfociare in un vero e proprio scontro sulla concezione stessa del mercato del lavoro e delle regole che devono esserne alla base. Insomma il tentativo da parte dell’esecutivo di riformare quella che è la norma più controversa dello statuto dei lavoratori, ha innescato un pesante clima di conflittualità, che non facilita tra l’altro la comprensione effettiva del problema.
Il fatto, cioè, che la posta in gioco abbia assunto tinte troppo politicizzate ha finito con il far perdere di vista la natura della questione. Ed è alla esatta interpretazione dei fatti che occorre ritornare se si vuole davvero trovare il bandolo della matassa. «Secondo il nostro modo di vedere la questione - spiega il presidente della Confcommercio provinciale Sergio Rebecca - serve innanzitutto un chiarimento tecnico e politico allo stesso tempo. Molti infatti credono che si voglia mettere in discussione il principio del licenziamento senza giusta causa. E qui sta il punto: non è vero che si tratta di licenziamenti più facili ma solo di una parziale modifica delle conseguenze derivanti dal licenziamento. E tra l’altro è una problematica più apparente che reale. Basta contare i casi in cui il lavoratore licenziato si avvale della opzione della reintegra. Sono davvero pochissimi. Si preferisce di gran lunga l’indennità sostitutiva».
Il chiarimento auspicato dal presidente Rebecca serve. Eccome ! In questo clima di rigida contrapposizione l’opinione pubblica è stata, infatti, bombardata da una serie di notizie contrastanti che, come detto, hanno sviato l’attenzione sulla vera sostanza delle intenzioni del governo, producendo un effetto completamente distorto. La tesi che ne è venuta fuori è quella che si punterebbe alla liberalizzazione dei licenziamenti e all’abrogazione della «giusta causa».
«Nulla di più errato - precisa Rebecca - . Si sta facendo una guerra santa solo su una questione di principio. La modifica dell’art. 18 ha un effetto assolutamente marginale rispetto alle esigenze delle nostre aziende. Non è che dalla riforma o meno di questa norma dipenda il futuro di un’impresa. Flessibilità e crescita sono legate ad altri fattori. Il fatto è che si insiste troppo sull’art. 18 mentre si continua a non sciogliere un nodo molto più importante e strategico: sono gli squilibri settoriali e territoriali a impedire uno sviluppo reale di tutto il sistema delle imprese». Da qui un altro tipo di soluzione, e Rebecca la delinea. «Sarebbe preferibile affrontare subito altre questioni più urgenti e prioritarie. Mi riferisco in primis alla riforma del collocamento, in secondo luogo al riordino di tutte le forme di flessibilità possibili anche con un nuovo statuto dei lavori, e poi ancora a una riforma degli ammortizzatori sociali. E questo per dare risposte a due ordini di problemi: il sostegno al reddito e la riqualificazione dei lavoratori».
L’area di intervento, secondo il presidente della Confcommercio, va perciò rettificata, tenendo peraltro presente un’altra fondamentale esigenza: «Perché il sistema economico del nostro Paese torni veramente a tirare è necessario ridurre la pressione fiscale. E’ una condizione imprescindibile. In Italia le aliquote fiscali sono almeno di due, tre punti superiori a quelle ottimali per un mercato del lavoro in chiave europea, che sia moderno e proiettato verso il futuro. E, in questa prospettiva, occorrerebbe favorire oltre che le società di capitale anche quelle di persone e le ditte individuali».
Lo scenario, dunque, è diverso ed è molto più articolato. «Ci si scontra - dice Rebecca - su un singolo versante, pur rilevante, che riguarda però una percentuale ristretta di aziende. E’ noto a tutti che la struttura portante del nostro sistema produttivo è costituita da imprese piccole e medie che hanno molto meno di 15 dipendenti e che pertanto non sono interessate per nulla all’art. 18».
La via maestra da percorrere per Rebecca è, comunque, una sola: «Dopo settimane di discussioni e forzature - osserva il presidente - l’art. 18 è approdato finalmente alla naturale sede di un confronto fra le forze politiche: il Parlamento. Al Senato è ripreso il cammino della legge-delega sul lavoro, che contiene anche le modifiche volute dal gover-no, e il testo dovrebbe essere approvato entro aprile, anche se non è facile fare delle previsioni visto che l’oppo-sizione ha presentato quasi un migliaio di emendamenti. Mi auguro - conclude - che il nostro messaggio venga rece-pito e che i protagonisti di questo lungo e sterile braccio di ferro sappiano riprendere le redini del dialogo e giunge- re a un accordo che, da una parte, riordini il mercato del lavoro e, dall’altra, garantisca uno sviluppo solido e duratu-ro. Le barricate sono inutili. Servono re- gole certe e armonia sociale. Solo così si potrà guardare con fiducia al futuro».
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