IL NO DAY DELLA CONFCOMMERCIO CONTRO IL REFERENDUM SULL’ART. 18
Nr. 04 del 25/02/2003
Tredici tappe in altrettante città italiane per spiegare le ragioni del no
«E’ una proposta di riforma inaccettabile ed è questa la ragione per la quale abbiamo deciso di scendere in campo con iniziative che impegneranno fin da ora tutte le nostre strutture territoriali». La Confcommercio dice un «no» secco e perentorio al referendum sull’estensione dell’applicabilità dell’articolo 18. Ed è un impegno deciso che - oltre alla costituzione di un Comitato per il «no» insieme alle altre sigle associative imprenditoriali - si esprime con il «No Day», un’iniziativa itinerante partita lunedì 24 febbraio da Pavia (in concomitanza con l’incontro sul tema dell’occupazione alla presenza del ministro del Welfare Roberto Maroni) che prevede tredici tappe in varie città italiane per concludersi il 13 marzo a Milano. Un motorhome, un pullman e due tir percorreranno l’Italia, per due settimane, per sensibilizzare l’opinione pubblica e spiegare le ragioni del «no» a un referendum che «se venisse approvato - questa la posizione chiara della Confcommercio - causerebbe danni irreparabili ad una delle parti più produttive del nostro sistema imprenditoriale, la sola fra l’altro che oggi appare in grado di creare nuovi posti di lavoro».
In ogni tappa della manifestazione è prevista una iniziativa pubblica (assemblee, manifestazioni, talk show, incontri con amministratori locali, forze politiche, esperti e rappresentanti del governo) caratterizzata da un tema specifico, collegato direttamente alle problematiche che investono le imprese del terziario e le realtà locali (dalla riforma del mercato del lavoro alla valorizzazione del terziario, dal federalismo allo sviluppo territoriale, dal dissesto ambientale al turismo, dalle difficoltà e potenzialità dei piccoli comuni ai rapporti fra banche e imprese, dal mezzogiorno alla legalità, dai trasporti alla guerra).
Altre iniziative saranno poi attivate dalle associazioni di categorie aderenti a Confcommercio nelle città sedi della manifestazione: 6.000 Tir, aderenti a Conftrasporto, percorreranno l’Italia con i loghi e lo slogan della manifestazione; i panificatori dell’Assipan creeranno pane a forma di No Day; la Federfiori ha personalizzato i manifesti con scritte composte da garofani arancio; nell’area delle diverse manifestazioni i bar aderenti alla Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi, serviranno il caffè No Day, accompagnato da bustine di zucchero e cioccolatini con il logo dell’iniziativa; la Fida, Federazione dettaglianti alimentari, organizzerà composizioni di arance, limoncelli e trecce di mozzarella a forma di No.
Si vuole, insomma respingere un referendum - sottolinea lo slogan del No Day - «che vuole mettere alle corde il mercato e soffocare la libertà d’impresa», ed esprimere - secondo la linea unanime delle imprese rappresentate dalla Confcommercio - contrarietà ad una ipotesi di modifica della legislazione in materia di lavoro che «porterebbe conseguenze pesantissime sull’ economia del paese e sulla competitività del sistema».
«Sul fatto che lo Statuto dei lavoratori - sostiene l’Associazione - abbia bisogno di una revisione e di un sostanziale aggiornamento che lo renda più compatibile con le esigenze di un assetto sociale ed economico che, rispetto a 30 anni fa, ha subito una rivoluzione quasi copernicana, tutti, anche i sindacati, sono sostanzialmente d’accordo. Ma questa revisione non può essere fatta in modo frammentario, sul filo della pura demagogia. Al contrario dovrà essere la logica conclusione di un confronto serrato e aperto tra le parti sociali. Né si può puntare su iniziative di carattere legislativo, che non appaiono né congrue né convincenti».
Secondo la Confcommercio ci sono almeno sette motivi sostanziali per votare no. Ed eccole.
Primo: tre sentenze della Corte Costituzionale e trenta della Cassazione hanno ribadito le ragioni per le quali sarebbe necessario mantenere, in tema di rapporti di lavoro, un regime differenziato tra grandi e piccole aziende.
Secondo: le forze sindacali sino ad ora non hanno mai assunto iniziative formali per opporsi a queste sentenze e, quindi, per modificare quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori.
Terzo: la riforma proposta dal referendum impedirebbe al sistema delle piccole imprese - e sono quelle (con meno di 20 addetti) che oggi danno un contributo fondamentale, in termini di valore aggiunto, del 42,8 per cento alla creazione di nuovi posti di lavoro - di restare competitive sul mercato e, quindi, di contribuire al processo di sviluppo dell’economia nazionale.
Quarto: si scivolerebbe ancora di più verso il sommerso, l’abusivismo e l’economia illegale.
Quinto: si rischierebbe di mandare in pezzi quel sistema di imprese che, nelle aree del sottosviluppo, sono già costrette ad operare, soprattutto per carenza di infrastrutture e per la situazione del mercato, in condizioni di estrema precarietà.
Sesto: centinaia di migliaia di imprese, già salassate dall’aumento delle ta- rif- fe e dei costi di tutti i servizi, si vedrebbero costrette non solo ad utiliz- za- re a piene mani gli strumenti che oggi consentono forme di lavoro pre- ca- rio ma anche a dirottare altrove le ri- sor- se disponibili per nuovi inve-stimenti.
Settimo: verrebbe ad essere colpito proprio quel settore di imprese che, non disponendo del sistema di ammortizzatori sociali oggi utilizzabile dalle grandi aziende, non può fare mai leva su strumenti con cui, soprattutto nei momenti di crisi, far fronte alle perdite di bilancio.
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