LE INCOGNITE DELLA GUERRA
Nr. 06 del 25/03/2003
Grosse nubi si addensano sullo scacchiere economico internazionale
E’ guerra in Iraq. L’attenzione di tutti resta incollata sulle immagini e sulle notizie del conflitto. Ma questa guerra che si è aperta dopo mesi di incertezza e di inutili tentativi diplomatici, è una realtà. La speranza di tutti è che il conflitto che contrappone le truppe anglo-americane agli iracheni di Saddam si chiuda nel più breve tempo possibile e che questo scacchiere medio-orientale possa ritrovare le ragioni di nuovi equilibri.
Bisogna però essere realisti e prendere atto di una situazione estremamente grave. Le fonti militari fanno presagire che il conflitto potrebbe dilatare sensibilmente i suoi tempi e avere sviluppi al momento imprevedibili. Ed è un dilemma ipotizzare la fine della belligeranza e ciò innesca una serie di conseguenze diverse dal punto di vista economico.
La premessa è che la guerra è venuta a cadere in un contesto macro-economico già tempestoso per una crisi globale che dagli Stati Uniti all’Europa ha modificato tutto un sistema che sembrava consolidato e diffuso, eliminando vecchie certezze e mettendo in ginocchio interi settori produttivi. Gli Usa hanno chiuso il 2002 con un andamento altalenante che dovrebbe portare la crescita media dell’anno al 2,4 per cento. Un risultato che sarebbe già confortante dopo la dura stagnazione dell’anno precedente ma che ora viene messo in discussione, come realistica possibilità di mantenere almeno questo trend di sviluppo, dagli ultimi avvenimenti. Va male il Giappone che prosegue una flessione iniziata con la crisi asiatica dell’87, e non è migliore la situazione in Europa con un ritmo di crescita contenuto (per il 2002 non si va oltre lo 0,7 per cento) frenato soprattutto dai modesti risultati dei Pil di Italia (+0,4 per cento) e Germania (+0,2 per cento). In questo panorama non molto incoraggiante a mostrare segni di ripresa sono solo i paesi emergenti dell’Estremo Oriente con una crescita del 6 per cento guidata in primis dalla Cina, che in virtù di una domanda interna in grossa espansione e di un forte interscambio commerciale, si prospetta come il grande mercato del futuro.
In ogni caso l’ipotesi di un prolungamento del conflitto in Iraq frena sensibilmente la possibilità di superare la congiuntura e rinvia la prospettiva di una concreta inversione di tendenza. Secondo l’Osservatorio del Centro Studi della Confcommercio i rischi maggiori sono almeno tre: al primo posto c’è il rincaro del prezzo del petrolio che potrebbe toccare picchi altissimi, al secondo una forte recrudescenza della tensione dei mercati finanziari, e al terzo il brusco rallentamento se non addirittura lo stop di tutti i programmi di rilancio economico programmati dai Paesi europei. In particolare sulla distribuzione commerciale peserebbero pesantemente il caro-petrolio e i maggiori costi di tutti i suoi derivati. Nell’ipotesi più negativa di un conflitto che durasse fra i 3 e i 6 mesi, con estensione dell’area e dei Paesi coinvolti e con grossi danni alla produzione petrolifera, si calcola che le conseguenze sul Pil degli Stati Uniti sarebbero del -4,7 per cento e che il contraccolpo sull’area dell’Euro sarebbe del -2,5, con il prezzo del petrolio che, secondo alcuni osservatori potrebbe toccare addirittura quota 80 dollari. Il petrolio rimarrà perciò il grande protagonista delle oscillazioni dei mercati economici e finanziari, ma l’effetto si potrebbe avvertire su tutti i prezzi dei beni di consumo.
Guardando la situazione del sistema italiano, anche sulla base dei dati elaborati da una recente indagine di Datamedia, la maggior parte degli italiani, il 73 per cento, è pessimista su quanto sta avvenendo a livello economico; solo il 12 per cento degli intervistati ha manifestato un certo ottimismo.
La situazione attuale sembra appena più critica rispetto a quella di dodici mesi fa, visto che secondo il 74 per cento del campione l’andamento economico è peggiorato contro l’8 per cento che ha percepito un miglioramento.
Il sistema ha, quindi, bisogno di efficaci e valide contromisure per contrastare una situazione economica che non ispira fiducia. Se poi a questo si aggiungesse quello di un malaugurato esito positivo del referendum sull’art.18, per centinaia di migliaia di piccole imprese, quelle che sostengono da sempre l’economia nazionale, sarebbe l’inizio di una stagione difficile in cui si dovrebbero ridimensionare drasticamente programmi e strategie.
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