MA IL CONFLITTO NON FRENA LE VACANZE DEGLI ITALIANI
Nr. 06 del 25/03/2003
In difficoltà il mercato estero, disdette a pioggia nelle città d’arte e d’affari
La guerra non sembra condizionare più di tanto le scelte degli italiani soprattutto se l’oggetto del desiderio sono le tanto attese vacanze. E’ quanto emerge dall’indagine realizzata nel mese di marzo da Confturismo - la maggiore Confederazione del settore, che fa capo a Confcommercio - che ha intervistato, con un sistema telematico, un cospicuo campione di individui rappresentativi dell’intera popolazione maggiorenne italiana.
Alla domanda se a livello psicologico e pratico gli italiani si sentano condizionati dalla guerra nel decidere di partire per una vacanza, il 69,2 per cento ha risposto «poco-per nulla» e solo il 22,6 per cento «molto-abbastanza». Una risposta che fortifica il sistema turistico nazionale, capace di mantenere un suo appeal anche in una fase storica così delicata come l’attuale. In occasione delle imminenti festività pasquali e dei ponti di fine aprile, sempre secondo l’indagine di Confturismo, l’83 per cento dei vacanzieri del Bel Paese rimarrà in Italia.
Ma se il mercato interno non si dimostra spaventato dalla guerra, segnali di rallentamento arrivano invece dai mercati esteri.
Gli italiani. La tendenza rimane positiva. Il 35,6 per cento degli italiani dichiara che «certamente sì-probabilmente sì» effettuerà una vacanza a Pasqua, per un numero di persone che si avvicina ai 10 milioni rispetto ai 7 milioni della Pasqua 2002. Mare e montagna si contenderanno il grosso dei turisti: le località marine saranno scelte dal 29 per cento circa di chi si muoverà in quei giorni, quelle montane dal 27 per cento. Seguiranno, al terzo posto, le città d’arte (20 per cento).
Gli stranieri. Lo scoppio del conflitto in Iraq - ha confermato il presidente della Federalberghi-Confturismo, Bernabò Bocca - ha coinciso con un’improvvisa impennata delle cancellazioni alberghiere da parte della clientela straniera, in particolare quella statunitense. Città d’arte e d’affari risultano essere le più colpite: il calo dei visitatori provenienti dal Nord America ha toccato punte del 50 per cento rispetto ai dati dello stesso periodo dello scorso anno. A soffrire è soprattutto il turismo congressuale. Il presidente di Federalberghi-Confturismo ha spiegato che tutte le multinazionali americane hanno bloccato lo svolgimento di meeting e congressi in Italia e nel mondo. Una decisione che rischia di incidere non poco sul volume di affari che ruota attorno a tale fascia di viaggiatori. Basti ricordare che il peso economico del turista statunitense in Italia nel 2000 è stato di 2,5 miliardi di euro, nel 2001 di 2 miliardi di euro, e nel 2002 di 1,3 miliardi di euro.
Un anno, il 2002, rivelatosi difficilissimo per il turismo, che pur mantenendo un numero di arrivi e di pernottamenti in linea con la precedente stagione, dal punto di vista del fatturato ha perso quasi tre miliardi di euro di entrate valutarie estere, facendo calare il giro di affari del settore a 72 miliardi di euro, rispetto ai 75 miliardi di euro del 2001. Ora lo scoppio del conflitto in Iraq rischia di peggiorare ulteriormente la situazione. Secondo Federalberghi, lo scossone improvviso che la guerra ha dato al turismo estero in Italia potrebbe a breve produrre contraccolpi sui livelli occupazionali delle imprese turistiche, così come accadde all’indomani dell’11 settembre.
«Le previsioni che risultano dai dati raccolti con questa indagine sono, per chi lavora nel settore del turismo, un’autentica sorpresa, almeno per quel che riguarda il mercato interno - conclude il presidente Bernabò Bocca - . Se, in questo clima di incertezza, i viaggiatori italiani ed europei decideranno di preferire le mete del Bel Paese, piuttosto che quelle più gettonate negli ultimi anni, quali il Mar Rosso e le altre mete arabe, la stagione potrebbe ancora riservare alcuni risvolti positivi. La speranza è che i flussi di turisti siano in grado di sostituire le mancate presenze americane e giapponesi, così da limitare al minimo il rischio di ricadute negative sul piano economico e occupazionale».
Torna alla pagina precedente