DIRE NO PER NON BLOCCARE L’ECONOMIA
Nr. 10 del 20/05/2003
Il 15 giugno il referendum sull’estensione dell’art. 18. Il rischio è di frenare la crescita delle Pmi
Dire no al referendum popolare sull’estensione dell’applicabilità dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori alle piccole e medie imprese con meno di 15 dipendenti. La Confcommercio continua la sua lotta a tutto campo per cercare di scongiurare il pericolo di un possibile responso positivo della consultazione referendaria che potrebbe minare alle radici tutto quel sistema di piccole imprese che costituisce da sempre l’asso nella manica dell’Azienda Italia. Assieme a tutte le altre sigle che hanno aderito al Comitato per il no, l’Associazione ha partecipato a una maxi-campagna pubblicitaria estesa a 101 capoluoghi di provincia in cui le ragioni, appunto, del no sono apparse, con una sorta di copertura globale, su oltre 10 mila impianti di affissione. In pratica é proseguita quella grande mobilitazione culminata a marzo con le 13 tappe del «no-day» e con il «viaggio» iniziato a Pavia e concluso a Milano.
In sostanza, con il referendum che ha superato anche lo scoglio della Corte costituzionale si verrebbe a modificare un regime di tutele che oggi riguarda oltre 3 milioni e mezzo di imprenditori, i quali costituiscono non solo la struttura portante del sistema economico nazionale ma anche il punto di riferimento per la crescita dei livelli occupazionali. «Estendere l’obbligo della reintegra - ribadisce il presidente della Confcommercio provinciale Sergio Rebecca - vuol dire penalizzare una delle principali risorse per il rilancio dell’economia. L’ho già detto molte volte ma vale la pena di ripeterlo perché è molto importante. L’applicazione dell’art.18 sarebbe una sorta di forca caudina. La piccola azienda sarebbe costretta a esborsi che inciderebbero notevolmente sui bilanci aziendali e potrebbero vanificare le riforme che il governo sta cercando di attuare. Lavoro nero e precariato continuerebbero a proliferare, e naturalmente le conseguenze per l’occupazione sarebbero pesantissime».
Le ragioni del no sono molte e Rebecca le sottolinea partendo da una premessa che è anche una pregiudiziale al quesito referendario: «Si è fatto tanto rumore sull’art. 18 e ci si è dimenticati di affrontare quella che resta la questione prioritaria. Senza un mercato del lavoro efficiente che sappia conciliare diffusione e flessibilità non si va in nessuna parte. E’ proprio la flessibilità una delle ragioni che fanno delle piccole e medie imprese un insostituibile volano per l’occupazione. Difendere per ragioni di bottega politica un sistema antiquato, antistorico e sterile di tutele rigide significa bloccare il motore dell’economia, significa fare del nostro un paese arretrato, con il pericolo di rimanere esclusi dai processi di sviluppo europei proprio in un momento in cui l’Europa con l’ingresso di nuovi Paesi diventa più grande. Si rischia di perdere un appuntamento decisivo con il futuro».
Ma il problema innescato da una proposta referendaria giudicata «inutile e dannosa» è anche un altro. «Sì - spiega il presidente Rebecca - questa sciagurata storia dell’art.18 ha creato un clima rissoso che sta facendo trascurare, come accennavo prima, le questioni reali tuttora sul tappeto. Tutto questo ha animato un clima di contrapposizioni in cui è difficile costruire qualcosa di positivo. Ci sarebbe bisogno di concordia sociale, di dialettica stimolante, non di veleni. La prova ? Tutti i sondaggi insistono su un punto: i consumi delle famiglie continuano a stagnare proprio perché manca ancora la fiducia su una effettiva ripresa dell’economia. Sì, l’inflazione può scendere di qualcosa, il Pil salire leggermente ma sono oscillazioni che non mutano sostanzialmente la situazione. E, allora, se vogliamo veramente la ripresa, affrontiamo una volta per tutte i veri problemi del mercato del lavoro. E perché no ? Prendiamo in mano lo statuto dei lavoratori. E’ uno strumento nato in tempi e in condizioni storiche e sociali completamente diversi da oggi».
Dopo il «no-day» di marzo la Confcommercio è scesa in campo con cinque slogan che sintetizzano le ragioni del no e che sottolineano i concetti basilari sui quali è stata impostata la campagna anti-referendaria. Se vince il sì - questo il senso comune degli slogan apparsa nei manifesti che hanno invaso le città italiane - il lavoro si blocca. Si torna indietro. Si aprono le porte alla disoccupazione. Rebecca conferma: «Come non essere d’accordo su questo punto ? Chi vuole più lavoro non può che dire no. Da una parte c’è un’Italia che rincorre metodi vecchi e superati e che vorrebbe tenerci fermi e aggrappati a un passato di oscurantismo economico. Dall’altra c’è un’Italia che vuole andare assolutamente avanti».
Intanto dai sondaggi delle ultime settimane risulterebbe che al referendum in programma il 15 giugno andrebbe a votare solo il 30 per cento degli elettori. L’astensione, cioè, dovrebbe far fallire una consultazione per i quali sono molti fra tutte le forze politiche di ogni colore a continuare a privilegiare l’iniziativa legislativa del Parlamento per rivedere tutta la materia, dagli ammortizzatori sociali per le imprese alla ridefinizione dei diritti e delle garanzie per ogni tipo di lavoratore, dalle misure fiscali e creditizie alle risorse necessarie per aumentare la competitività dell’impresa minore nell’epoca dell’economia globale e diffusa. C’è da ricordare che era già stato ipotizzato un testo legislativo che prevedeva una serie di ipotesi partendo dai processi di riemersione, dalla trasformazione dei rapporti da tempo indeterminato a determinato e dalla crescita dimensionale delle piccole imprese. Ma poi, per evitare tensioni sociali, il testo stesso era stato stralciato dal disegno di legge delega successivamente approvato. Ed è da qui che molti, appunto, ora vorrebbero riprendere il discorso al di là degli steccati e dei blocchi contrapposti.
CINQUE SLOGAN – CINQUE RAGIONI
«Togliamo il freNo al lavoro», «Chi vuole più lavoro dica NO», «I lavoratori di domani si decidoNO oggi», «NO alla disoccupazione», «NOn rimanere indietro».
Questi i cinque slogan che hanno campeggiato fino al 18 maggio sui manifesti pubblicitari di tutta Italia grazie alla campagna promozionale organizzata dal Comitato per il no del quale uno dei protagonisti principali è stata proprio la Confcommercio assieme a tutte le altre associazioni di categoria.
La campagna ha interessato 101 città italiane capoluoghi di provincia, con l’intento di far comprendere come sia importante dire no a chi vuole bloccare lo sviluppo dell’economia trincerandosi dietro a un sì che potrebbe condizionare drasticamente il futuro delle imprese. E questo pensando a ciò che il terziario di mercato rappresenta per l’occupazione, visto che solo nel 2002 più del 70 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato prodotto dalle imprese di questo settore che, per poter progredire, hanno bisogno di operare in un quadro di maggior flessibilità e mobilità.
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