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Confcommercio Veneto Notizie

NON SIAMO I RESPONSABILI DEL CARO PREZZI

Nr. 19 del 21/10/2003

I commercianti dicono basta alla pretestuosa campagna che si abbatte ingiustamente su di loro e che vorrebbe metterli sul banco degli imputati come i maggiori responsabili dell’aumento dei prezzi verificatosi nel nostro Paese. Per questo è scattata in tutta Italia un’operazione diretta a ristabilire la verità per dimostrare a «carte scoperte» (questo il titolo della mobilitazione generale indetta dalla Confcommercio) che le responsabilità vanno ricercate fra i vari soggetti che operano sul mercato. Sul bollente fronte dei prezzi per la Confcommercio è cioè giunto il momento di liberarsi della poco gradita fama dell’»untore».
«Il confronto statistico fra gli indici dei prezzi alla produzione industriale e al consumo – dice il presidente della Confcommercio di Vicenza Sergio Rebecca - smentisce in modo inequivocabile tesi chiaramente precostituite e strumentali. I dati ufficiali dell’Istat mostrano con estrema chiarezza come non ci siano differenze significative tra prezzi all’origine dei beni di consumo e prezzi finali, mentre appare evidente come nel primo semestre 2003 i prezzi dei listini industriali siano lievitati dal 3 al 10 per cento. E lo stesso emerge se si analizza l’andamento dei prezzi agricoli monitorati dall’Ismea. Alcuni sono cresciuti da un anno all’altro di ben il 172 per cento. E a questo si deve aggiungere l’aumento dei costi di gestione delle imprese commerciali cresciuti molto di più del tasso di inflazione relativo ai beni di consumo. No, non siamo noi i colpevoli della perdita del potere di acquisto delle famiglie».
Del resto, il confronto reale fra prezzi alla produzione e al consumo su un paniere di 39 prodotti alimentari delineato dall’Osservatorio prezzi di Unioncamere, dà decisamente ragione ai commercianti. Stando a questi dati, nella media degli ultimi dodici mesi la crescita dei prezzi alla produzione è stata del 2,9 per cento, mentre quella dei prezzi al consumo si è fermata al 2,2. E anche per i 14 prodotti non alimentari il tasso annuo dei prezzi alla produzione è risultato più elevato.
Insomma, i commercianti, ultimo anello di una catena che accumula altrove gli aumenti che incidono sul carovita, continuano a pagare sul piano dell’immagine ma anche in concreto una situazione che sta creando oggettive difficoltà confermate anche dal saldo, che resta fortemente negativo, fra aperture e chiusure degli esercizi commerciali. Nel primo semestre 2003 sono nate in Italia 48 mila 951 imprese commerciali a fronte di 52 mila 270 cessazioni, con un saldo negativo pari a – 3.319. Ed è un dato su cui riflettere se si considera che nello stesso periodo il saldo totale per le imprese è stato di + 32.282.
L’iniziativa «a carte scoperte» della Confcommercio ha, dunque, lanciato una contro-campagna di comunicazione per confermare, appunto, che l’aumento dei prezzi deriva dai rincari alla produzione (più 2,9 per cento sugli alimentari rispetto al 2,2 dei prezzi al consumo; 2,4 contro 1,4 per i beni non alimentari), oltre che dalla pressione fiscale, che non ha mai allentato la sua morsa, dal costo della macchina pubblica, e dall’esorbitante rialzo delle tariffe dei servizi.
«Dalle responsabilità – osserva Rebecca – non si possono tirare fuori né gli industriali, né gli enti pubblici, e né tanto meno gli enti para-pubblici, Ferrovie, Autostrade, Banche, Assicurazioni che hanno maggiorato con largo anticipo prezzi e tariffe. I conti non tornano non solo alle famiglie ma anche alle nostre imprese».
«Si vuol capire una buona volta – aggiunge Rebecca - che il cliente è il primo e più importante patrimonio del commerciante e che il negoziante o il barista o il ristoratore andrebbero contro il loro interesse se prendessero in giro o ingannassero il consumatore. I furbi non mancano mai in nessuna categoria, ma possono farla franca una volta, poi vengono fatalmente scoperti. E poi, non è che il commerciante abbia il monopolio del mercato. La gente ha un’ampia libertà di scelta fra migliaia di punti di vendita che operano in regime di libera concorrenza. Il consumatore ha a disposizione botteghe, supermercati, superette, discount, cash and carry e ipermercati, ai quali va aggiunto il rimanente universo di distribuzione specializzata. Chi sostiene che il consumatore può essere gabbato dall’operatore che aumenta in modo sconsiderato i prezzi, fa davvero un esercizio di malafede solo per screditare una categoria che è sempre quella più in vista di tutte e se sgarra non sfugge al giudizio del consumatore, che paga correttamente il fisco, che rispetta le regole, che garantisce l’occupazione. Anzi, in qualche caso, proprio l’eccesso di offerta rispetto ai bisogni della gente ha messo in moto una concorrenza agguerritissima che si gioca spesso sul ribasso a oltranza dei prezzi. Ed è, quindi lo scenario completamente opposto».
Insomma da una parte l’inflazione, dall’altro il caro-prezzi, e dall’altra ancora lo stallo dell’economia. Per la Confcommercio la radice di molti problemi sta nella prolungata crisi dei consumi, e da qui la proposta al governo da parte del presidente nazionale Sergio Billè che venga detassata la prossima tredicesima, così da poter spendere nei negozi i soldi da versare allo Stato sotto forma di tasse. In cambio commercianti e produttori potrebbero stipulare un patto di ferro per tenere bloccati i listini fino al 28 febbraio.

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