FISCO PIU’ PESANTE CON I “NUOVI” STUDI DI SETTORE
Nr. 19 del 25/10/2004
Il timore è quello di un nuovo «salasso», l’ennesimo, a carico dei lavoratori autonomi e dei commercianti. Un timore purtroppo più che fondato, commentano dalla Confcommercio nazionale, qualora la prospettiva di aggiornamento degli studi di settore (contenuta nella Finanziaria 2005) dovesse andare in porto.
E’ così che la protesta degli autonomi e dei commercianti alla novità fiscale prevista nella manovra finanziaria del Governo minaccia di essere soltanto all’inizio.
Gli studi di settore, vale a dire lo strumento induttivo introdotto a metà degli anni Novanta che consente al Fisco di determinare per 228 attività economiche i ricavi congrui annuali (ossia il fatturato minimo da dichiarare per beneficiare di particolari esoneri da accertamenti fiscali), oggi riguardano circa tre milioni di contribuenti. Un popolo delle partita Iva che dai titolari di bar, caffè, villaggi turistici, farmacisti, ambulanti, negozi di articoli sportivi, giocattoli, concessionari d’auto, cartolerie, gioellerie, ma anche gelaterie, pasticcerie e professionisti quali notai, ingegneri, geometri e studi medici, a partire dal 2005 dovranno rivedere l’importo da elargire in tasse al Governo.
La riforma prevista nella nuova legge Finanziaria per il 2005, stilata dal ministro all’Economia Domenico Siniscalco, stabilisce infatti un aggiornamento automatico di tutti gli studi di settore ogni quattro anni, che va ad aggiungersi alla costante revisione degli stessi, anno per anno, sulla base degli indici Istat. Un colpo basso per i commercianti e i lavoratori autonomi, che con il nuovo anno dovranno garantire al governo un gettito aggiuntivo pari a 3, 8 miliardi di euro.
Queste almeno le stime del Tesoro, il quale sostiene di poter convincere nel 2005 almeno il 20% in più dei soggetti che oggi dichiarano ricavi «non congrui». Ma che trova dura resistenza da parte delle categorie economiche che nel ‘98 avevano controfirmato con convinzione il nuovo strumento fiscale introdotto dal Governo. Prima fra tutti la Confcommercio, che dalla voce del suo direttore generale, Luigi Taranto, boccia le novità finanziarie per il 2005: «Basta con questa croce sui commercianti e sui liberi professionisti. Trasformare uno strumento utile e condiviso da tutti, quali gli studi di settore, in un modo per accatastare reddito sulla base di un meccanismo statistico, è un tentativo subdolo quanto ingiusto di aumentare il gettito fiscale sempre a discapito della stessa categoria».
A nulla serve, infatti, la proposta del ministro Siniscalco di rabbonire i contribuenti con una nuova forma di concordato triennale, sulla base del quale i commercianti o i professionisti che accettano di pianificare per tre anni sia i propri ricavi che i propri redditi hanno la possibilità di beneficiare di un abbassamento dell’aliquota marginale Irpef di quattro punti e di un abbuono sui contributi previdenziali. «Lo scambio non è sufficiente» incalza serafico Taranto. «E’ la filosofia stessa degli studi di settore, infatti, ad essere rotta. La pianificazione triennale lascia troppo poco spazio al contraddittorio con l’amministrazione, e mi domando da quando il governo può arrogarsi il diritto di dirmi quanto reddito devo fatturare e quante tasse devo pagare!».
La promessa di apertura, ora, del ministro Siniscalco di tavolo di confronto con i commercianti e la sua disponibilità a rivedere le norme che prevedono l’aggiornamento annuale degli studi in base agli indici Istat lascia sul chi va là i dirigenti della Confcommercio, che non mancano di bollare la revisione come «una nuova addizionale per aiutare i conti alluvionati dello Stato».
Torna alla pagina precedente