L’ECONOMIA ITALIANA HA IL MOTORE IMBALLATO
Nr. 22 del 06/11/2004
Il Centro Studi della Confcommercio ha diffuso le previsioni economiche per il biennio 2004-2005. In sintesi, per l’Italia si dovrebbe registrare anche entro la fine del 2004 una tendenza allo sviluppo abbastanza contenuta con una crescita del Pil, nella media dell’intero anno, dell’1,3%, un valore che rischia però di condizionare le prospettive di sviluppo del 2005, anno in cui l’aumento del Pil dovrebbe attestarsi intorno all’1,6%-1,7%.
Per quanto concerne i consumi, il clima di fiducia delle famiglie rimane molto incerto e non sembra far prevedere nel breve-medio periodo una ripresa della domanda che per il 2005 dovrebbe subire un incremento dell’1,3%.
Sul fronte investimenti, nella media 2004 l’aumento dovrebbe risultare del +2,6% e si stima debba proseguire sulla stessa falsariga anche nel 2005 con un +2,5%. Un’evoluzione determinata anche dalla tendenza alla delocalizzazione delle attività produttive e dalle incertezze circa le politiche di incentivazione alle imprese.
Passando all’occupazione, a fine 2004, nella media dell’intero anno, gli occupati in Italia dovrebbero aumentare di circa 147mila unità. Solo nella seconda metà del 2005 il mercato del lavoro dovrebbe cominciare ad evidenziare una maggiore dinamicità, con una crescita di occupati di poco inferiore alle 200mila unità. In linea con queste dinamiche anche il tasso di disoccupazione dovrebbe mostrare un’ulteriore tendenza al ridimensionamento.
Il presidente della Confcommercio Sergio Billè, che ha presentato questi dati e le altre previsioni elaborate dal Centro Studi della Confederazione, circa l’andamento dei prezzi e del commercio estero, ha commentato così le prospettive italiane: «La caduta verticale dei consumi delle famiglie, da un lato, e la crescente perdita di competitività del nostro sistema imprenditoriale dall’altro - ha osservato - mostrano un motore dell’economia sostanzialmente imballato».
Il presidente di Confcommercio ha quindi parlato della manovra Finanziaria del governo, definendola «una manovra dal fiato corto che non dà prospettive di crescita». E sono almeno tre le parti della legge finanziaria che per Billè «lasciano l’amaro in bocca».
«Sono incerti, esigui e marginali i tagli di quella parte della spesa pubblica che, nonostante sia manifestamente improduttiva ai fini di uno sviluppo del sistema, continua ad ingoiare una grossa fetta delle risorse disponibili. Si è tagliato qualche rametto secco ma niente di più. Non vi è traccia di interventi di carattere strutturale che possano favorire una maggiore trasparenza di un sistema economico che continua ad essere stretto, soffocato nel cappio di una consolidata e quasi inossidabile struttura di cartelli e di oligopoli pubblici e privati che, in un libero mercato, non dovrebbero avere più ragione di esistere. C’è, infine, il fondato sospetto che questa forzata, quasi affannosa corsa al rientro del deficit e del rapporto debito/Pil possa aprire nuove e più larghe crepe nelle amministrazioni locali che, per il ripianamento dei loro debiti di bilancio, saranno probabilmente costrette a rivalersi sull’utenza».
Billè ha quindi parlato della riforma fiscale e della riduzione delle tasse messe in atto dal Governo: «Anche se per molte categorie di reddito la riduzione è solo nell’ordine dei decimali, è comunque un segnale almeno di tendenza che va nella giusta direzione perché è andando prima di tutto incontro alle esigenze e alle aspettative delle famiglie che si può stimolare una maggiore domanda di consumo e far quindi ripartire, in qualche modo, il motore dell’economia».
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