ANATOCISMO BANCARIO: LA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Nr. 22 del 06/11/2004
Con una recente sentenza, di inizio novembre, la Suprema Corte di Cassazione ha riacceso le speranze di molti correntisti di vedere restituita una parte delle somme pagate agli istituti di credito per fidi fino al 1999.
Il principio sancito, a Sezioni Unite, è infatti arrivato dopo una lunga serie di sentenze in materia di capitalizzazione degli interessi bancari, che per decenni aveva visto prevalere un orientamento favorevole alle banche. La sentenza del 4 novembre, invece, stabilisce l’inversione di marcia che, in via definitiva, dichiara illegittime le clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrali degli interessi a carico degli utenti, e rende quindi nulli i cosiddetti anatocismi.
L’ANATOCISMO. Il termine indica semplicemente il calcolo degli interessi sugli interessi effettuati dalle banche. Fino al 2000, infatti, i diversi istituti di credito conteggiavano per gli scoperti di conto gli interessi passivi con cadenza trimestrale, mentre per gli interessi attivi applicavano un conteggio annuale. A partire dal Duemila, a seguito della pronuncia del CICR, il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, sia per gli interessi passivi che per gli attivi viene applicato lo stesso criterio di calcolo trimestrale.
LA SENTENZA. Con la sentenza n° 21095 del 4 novembre 2004, la Suprema Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha stabilito che le clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrale degli interessi applicati fino al ‘99 devono essere considerate nulle, nonostante il precedente orientamento giurisprudenziale ne consentisse l’uso. Nella sostanza, va dunque attribuito valore retroattivo degli anatocismi applicati prima del 2000.
Conseguenze. La sentenza del supremo organo giurisprudenziale del nostro paese, di fatto, condanna le banche a restituire agli utenti quanto illecitamente percepito prima dell’entrata in vigore del D. Legs. 342/99, che già ne aveva dichiarato l’illegittimità ma solo con effetti sul futuro.
IL RIMBORSO. Il primo passo per i clienti che intendano procedere al rimborso degli interessi, è quello di effettuare innanzitutto una verifica preventiva del rapporto costi/benefici posto a base della relativa azione di recupero. Nel caso in cui si decida di procedere, il correntista dovrà inviare alla propria banca una lettera formale con richiesta documentata di rimborso degli interessi indebitamente calcolati. Solo in caso di risposta negativa o di mancata risposta da parte dell’istituto di credito, l’azione dovrà necessariamente proseguire nelle sedi giudiziali. Nel caso in cui la somma richiesta alla banca non superi i 2mila e 500 euro, il cliente potrà fare ricorso al Giudice di pace. Per importi superiori, invece, si dovrà adire al Tribunale competente per il territorio.
Chi ne ha diritto. Possono richiedere il rimborso i titolari di conti correnti ancora aperti presso lo stesso istituto di credito, siano esse persone fisiche, associazioni, fondazioni o società, il cui saldo è risultato passivo per qualsivoglia motivo.
COSTI E PROSPETTIVE DI RIMBORSO. Tra i costi bisogna considerare il reperimento dagli istituti di credito di copia degli estratti conto se non conservati, l’ottenimento di una consulenza tecnico-contabile per il riconteggio degli interessi e i costi legali. D’altro canto le prospettive di rimborso rimangono incerte, visto che l’Associazione bancaria ha già deciso di presentare ricorso alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea.
Nicla Signorelli
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