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Confcommercio Veneto Notizie

BARI LASCIA L’ASSOCIAZIONE. CON LUI SI CHIUDE UN’EPOCA

Nr. 07 del 11/04/2005

Il presidente della Fenacom “50 & più” lascia, finisce un’epoca, si chiude, come tutte le cose della vita, una lunga storia umana e associativa, che è stata di prima linea e di grande importanza non solo per il commercio vicentino, il suo progressivo sviluppo nel tempo, e il suo radicarsi come forza viva e rappresentativa degli interessi del territorio, ma per tutta una provincia e per tutta una comunità. Sì, perché Girolamo Bari, detto affettuosamente Momi, prima di aver praticamente fondato, organizzato, plasmato la Fenacom berica, è stato inizialmente il direttore e quindi il presidente dell’Associazione commercianti (poi Ascom), facendosi indiscusso e carismatico protagonista di un’azione prima di costruzione e poi di costante espansione di una struttura sindacale, che ha saputo assumere una funzione attrattiva crescente e un ruolo politico di assoluto rilievo, dando al ruolo politico il significato apartitico di incidere sulle scelte socio-economiche degli enti locali della città e della provincia. Tutto questo con una capacità unica di intessere rapporti, con una spiccata intelligenza strategica, con intuizioni che sono state vincenti, e con un’umanità sempre fresca, fatta di semplicità, di bonomia, ma anche di rigore etico, di rispetto delle regole, di diffidenza dei compromessi.
Presidente ma perché ha deciso di lasciare?
“Fra qualche mese compio ottant’anni, purtroppo la vista non mi aiuta molto. E poi è dal 1983 che sono nel consiglio nazionale della Fenacom, ho fatto parte della giunta, sono stato il vicepresidente fino al 2001. Anche qui a Vicenza avevo deciso di chiudere questa bellissima esperienza che mi ha dato tanto anche sotto l’aspetto umano, ma poi ho avuto molte pressioni, tanta gente che per fortuna mi vuole ancora bene, che mi stima, così ho iniziato il mandato con l’intento di lasciare a metà percorso, e, invece, poi le insistenze e questa passione che ho avuto sempre, mi hanno convinti a continuare. Ora, però, davvero basta. Il 13 aprile il mandato scade, si farà l’assemblea, si rinnovano le cariche. Del resto al direttivo lo scorso dicembre io l’ho già annunciato: lascio definitivamente, non torno più indietro. Ma poi, forse che i vescovi non si ritirano quando compiono i 75 anni? Cosa c’è di strano? Si chiude una parentesi che è stata lunga e entusiasmante ma che è finita. La vita è questa”.
Le dispiace?
“Certo che mi dispiace, Qui con i commercianti, prima e dopo, ci ho passato una vita. Sa cosa le dico ? Che se tornassi indietro rifarei tutto daccapo. E’ stata un’esperienza bellissima, in un’associazione sindacale ogni giorno c’è una novità, ci sono tante categorie tutte diverse, ci sono le assemblee in cui non mancano le baruffe, ogni giorno ci sono problemi nuovi da risolvere. Questo è un lavoro che dà la carica ogni giorno. Io in una banca ci sarei morto. Sì, sono stato proprio fortunato, ho fatto il lavoro che più mi era congeniale. Si vede che era il mio destino”.
Questa entusiasmante avventura è iniziata tanti anni fa...
“Sì tanti anni fa. E dire che è iniziato tutto per caso. Io sono stato qui e sono ancora qui per un errore. Deve sapere che il primo presidente dei commercianti nel 1945 è stato l’avv. Giovanni Giuliari. Lo aveva nominato al termine della guerra il Comitato di Liberazione Nazionale. Aveva un negozio di tessuti sotto la Basilica e passava l’estate in una casa che aveva a Montecchio Maggiore. Io conoscevo i suoi figli. Ebbene, credo che fosse una domenica, io mi trovavo in piazza a Montecchio, stavo andando a comprare un giornale. A quei tempi ero ancora studente all’università, mi ero iscritto a giurisprudenza. Ebbene, quando Giuliari mi vede, mi ferma, mi chiede che cosa faccio e poi mi dice: “Domani mattina vai in via Riale all’associazione commercianti, ci trovi un certo dott. Biasin, è una brava persona, aveva uno che lo aiutava ma è partito per il militare, tu potresti sostituirlo, così guadagni qualcosa”. Il giorno dopo, era il 28 ottobre del 1947, la ricorrenza della marcia su Roma, solo che io ho inforcato la bici cletta, ho fatto come diceva Giuliari, Biasin mi prese. Dovevano essere due mesi e, invece, sono stati 58 anni. L’impiegato che dovevo sostituire era nientemeno che il filosofo Peretti, che insegnò alla Normale di Pisa e a Padova. Lui in via Riale non ci tornò più e io cominciai a interessarmi di sindacato dei commercianti”.
In quanti eravate in quegli anni?
“In cinque. Biasin che faceva da segretario, io che lo aiutavo, due dattilografe un fattorino”.
E i soci quanti erano?
“Millesettecento. Ma quello era un momento delicato”.
Perché?
“Perché sotto il fascismo l’associazione era un ente di diritto pubblico, c’erano i contributi obbligatori. Poi tutto è cambiato. Nel 1948 vennero tolte le tessere annonarie, si tornò al libero mercato e allora cominciammo a interessarci dei contributi. Si dovette cambiare l’impostazione, l’approccio. Nasce allora l’associazione commercianti moderna”.
Ma lei quando decise che quella sarebbe stata la sua strada?
“Io mi laureai nel ‘50 e la mia intenzione, a dire il vero, era di fare l’avvocato. Ricordo che in contrà Porti c’era l’ufficio del lavoro. Io ci andavo spesso e so che avevo fatto buona impressione, tanto che molti avvocati mi proposero di andare a fare pratica nei loro studi. Senonchè nel 1951 mi ero sposato, era nato il mio primo figlio, lì all’associazione non si prendeva tanto ma lo stipendio era sicuro. Io per un certo periodo fui tentato di andarmene, ma poi arrivò anche il secondo figlio, e così decisi di restare. L’associazione aveva cominciato a formare la sua ossatura, nel ‘51 c’era stata la riforma Vanoni in materia fiscale, si faceva già una bella attività, all’epoca facevamo le denunce dell’Ige, l’imposta che poi sarebbe stata incamerata nell’Iva”.
Nel frattempo cos’era cambiato nell’associazione?
“L’avv. Giuliari era morto nel ‘51 e gli era succeduto Gustavo Barawitzka, che aveva dei negozi di cristalleria e che fece il presidente fino al ‘53. Dopo di lui Antonio Lanza, che operava nel settore delle ferramenta. Restò fino al ‘57, quando gli subentrò Giuseppe Cattani, che faceva l’agente provinciale dell’Agip. Con lui ho lavorato per 22 anni fino al 1978. Morì per un arresto cardiaco nel ‘78, in auto, al mio fianco. La sede, intanto, la avevamo portata a Palazzo Porto Colleoni, in contrà Porti e io dal 1957 avevo cominciato a fare il direttore. Con me avevo 6 impiegati. Sì, me lo ricordo bene, perché il comm. Cattani mi chiese di organizzare un pranzo di Natale all’Hotel Agip e io gli dissi che eravamo in 7”.
Fu anche il momento della svolta operativa...
“Sì, facemmo una lunga lotta per la mutua dei commercianti, che all’epoca non avevano la pensione. Quanti incontri, quanti discorsi in piazza. Fui io a creare l’Emac, un ente mutualistico di natura esclusivamente volontaristica. Allora i soci erano 3 mila. Ebbene, nel ‘61 l’Emac chiuse il bilancio in attivo. Noi passavamo gratuitamente l’assistenza farmaceutica e le specialità ospedaliere. Fu anche in quegli anni che cominciammo a chiamarci Ascom. Ma quello fu pure il periodo in cui si iniziò a ventilare la possibilità di abolire le licenze commerciali, che allora erano un bene patrimoniale. Facemmo un grande incontro del commercio vicentino a carattere provinciale al cinema-teatro Roma. Vennero ben 2 mila 100 persone. Una folla incredibile. Non c’era un posto vuoto. Poi negli anni la disciplina del commercio è cambiata radicalmente, si è modificata la normativa, sono scomparse le commissioni, oggi ci sono i piani commerciali”.
Poi la storia continua...
“Sì la rivoluzione avviene fra la fine del ‘72 e l’inizio del ‘73. Spariscono dazio e imposta di famiglia, entra in campo l’Iva e soprattutto la denuncia unica dei redditi. Per l’associazione è un momento straordinario di grande evoluzione. Arriviamo a 14 mila soci, creiamo servizi decentrati in provincia, nascono sedi a Noventa, Lonigo, Arzignano, Valdagno, Asiago. Schio, Thiene e Bassano c’erano già, ma avevano una loro autonomia amministrativa. Nel frattempo la sede era passata in via Roma e nel 1976 in via Cattaneo, e l’organico dei dipendenti gradualmente salì a una cinquantina di persone”.
A un certo punto lei fa un salto ulteriore e diventa presidente...
“Sì, nel ‘78 muore Cattani, ma alle sue spalle non c’è nessuno pronto a subentrargli. Io, con il riscatto degli anni universitari, stavo maturando la pensione, e allora il consiglio mi disse: ma perché il presidente non lo fai tu ? Io però il presidente non potevo farlo perché non svolgevo nessuna attività commerciale, e, allora, ci fu una fase di stallo. I vicepresidenti erano Attilio Maraschin e Leone Fantinucci. Gestirono un po’ loro. Poi io mi iscrissi all’albo degli agenti e rappresentanti di commercio e a quello degli agenti in affari e in mediazione, e svolsi anche quell’attività e così nell’81 mi nominarono presidente. Nella sede in via Cattaneo iniziai a pensare a quella nuova di via Faccio, dove entrammo nel ‘92. La storia a questo punto è nota. Dopo un po’ lasciai la presidenza dell’Ascom e continuai a mantenere quella della Fenacom”.
Ma quali sono stati i momenti più salienti di questa sua vita fra i commercianti?
“Indubbiamente nei primi anni Sessanta la battaglia contro l’abolizione delle licenze e la campagna per la mutualità. Andammo a Roma in 20 mila e fummo ricevuti da Moro che era presidente del consiglio. Nel ‘66 ci fu l’altra grossa battaglia per la pensione. Ce l’avevano già gli artigiani, quelli della Coldiretti, era un atto di giustizia sociale. Ma poi il momento fondamentale per lo sviluppo dell’associazione fu la riforma delle imposte del 1983. Importante è stata anche la costruzione della nuova sede. E’una delle più belle e funzionali d’Italia. Ne vado fiero. Ricordo che mi imposi e il tempo mi ha dato ragione. Non faccio la sede nuova, dissi, se non ci sono gli interrati per i parcheggi: pensavo alle assemblee. Poi voglio ricordare l’attuale direttore Andrea Gallo. L’ho assunto io nel 1973 e l’ho nominato subito vicedirettore. L’altro vicedirettore, Franca Nicoletti, l’ho assunta io nel 1972. In tutti questi anni mi hanno dato sempre una grossa mano, con impegno, con bravura. Dei primi tempi sono rimasti il cav. Lino Volpato, Fiorenzo Marcato, che oggi fanno i consulenti. In provincia ci sono ancora Enzo Benetti ad Asiago, Graziano Cogo ad Arzignano e Giuseppe Guiotto a Valdagno. Allora eravamo una pattuglia, oggi i dipendenti sono 160. La famiglia è cresciuta e ha un presidente Sergio Rebecca, che è stato a lungo il mio vicepresidente vicario”.
E la Fenacom?
“La Fenacom è un organismo nazionale nato a Roma nel ‘75. A Vicenza c’è una sezione provinciale con quasi 5 mila 700 soci. Siamo partiti da zero nel ‘75 con un ufficio. Si fa assistenza pratiche per la pensione, si fanno rimborsi in materia sanitaria in collegamento con il Cupla. E si fa anche attività culturale: conferenze, incontri letterari, gite, escursioni e si partecipa al mese dell’anziano organizzato dalla Fenacom nazionale. Ma le attività sono molte altre. A livello nazionale ci sono la Festa della memoria collettiva e le Olimpiadi degli anziani. In ambito provinciale organizziamo ogni anno a Vicenza le premiazioni per i benemeriti del commercio con più di 40 e 50 anni di anzianità di lavoro, e a questi ultimi conferiamo le famose aquile di diamante. E poi voglio ricordare la nostra partecipazione al premio di poesia, prosa e fotografia che una volta si teneva a Levico e che poi è stato trasferito a Riva del Garda. Da poco è stato istituito anche il premio di letteratura italiana intitolato ad Alessandro Manzoni”.
Insomma, siamo al passo conclusivo. Avrà nostalgia dott. Bari?
“Sì. Tanta”.

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