giovedì 31 gennaio 2008
“TAGLIARE LA FILIERA NON ABBASSA I PREZZI MA SOLO LA QUALITA’ DEL SERVIZIO”
“Tagliare la filiera per diminuire i prezzi? E’ un po’ come proporre di tagliare i fili della luce per spendere meno di bolletta”. Risponde con una battuta Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza alla polemica innescata in questi giorni dalla Coldiretti provinciale sull’aumento dei prezzi e sui ricarichi che subirebbero i prodotti lungo tutta la filiera prima di arrivare al cliente finale. A far scoppiare il caso l’allarme, lanciato da Coldiretti, sul rincaro del pane che si sarebbe attestato sul 12 per cento. Un aumento che però non esiste in quei termini nella nostra provincia perché a guardare la Borsa della Spesa, la rilevazione mensile effettuata dal Comune di Vicenza su un ben definito paniere di prodotti, si scopre che da gennaio a dicembre 2007, in città, il pane è aumentato del 7,8% e non del 12%; che in euro si traduce in venti centesimi in più al chilo. “Un incremento questo – spiega Rebecca - causato da una serie di fattori, a cominciare dai costi energetici, passando per il rinnovo del contratto dei lavoratori del settore fino ad arrivare alle quotazioni delle farine. Anzi, su quest’ultimo aspetto, vale a dire quello del prezzo della materia prima, c’è da dire che molti dei nostri panificatori hanno telefonato in Associazione esprimendo la volontà di acquistare la farina “miracolosa” proposta sui giornali dalla Coldiretti di Vicenza: l’ingrediente base per fare il pane, loro dicono infatti di trovarlo a 28 centesimi al chilo quando ai nostri operatori la farina per il pane comune costa non meno di 45 centesimi e quella per la “ciabatta” 50 centesimi. Insomma – continua Rebecca - , l’impressione è che si voglia giocare con i numeri per dare tutta la colpa dei rincari ai commercianti, che alla fine sono invece tra coloro che risentono di più degli effetti negativi del calo dei consumi in atto. Al settore del commercio, infatti, a differenza dell’agricoltura, in situazioni di crisi non vengono elargite cospicue agevolazioni, sicuramente utili e positive ma, ricordiamocelo, pagate da tutti i cittadini attraverso la fiscalità”.
La soluzione proposta da Coldiretti per far calare i prezzi sarebbe, come si diceva, quella di un rapporto diretto tra produttore e consumatore “che è un po’ – rincara Rebecca – come proporre agli automobilisti di andarsi a comprare direttamente il petrolio prima che entri in raffineria. Tornando al pane, ad esempio, mi piacerebbe proprio sapere quanti agricoltori sono disposti a dotarsi di forno e a produrre e commercializzare rosette e baguette. Oppure vedere se, qualora fossero istituiti i “farm market” di cui tanto si parla in questi giorni, i prezzi saranno gli stessi che troviamo oggi nei banchetti gestiti dal coltivatore di turno in tante fiere e mercatini del territorio e dove, l’esperienza insegna, spesso si spende più che in un normale negozio”.
Lo stesso concetto si potrebbe applicare anche alla frutta e alla verdura: oggi il consumatore, che ha sempre meno tempo da dedicare alla spesa e alla preparazione dei pasti, chiede al negoziante due componenti fondamentali, vale a dire grande assortimento e servizio. Il che significa poter trovare tutti i prodotti che cerca, e non solo quelli di produzione locale, in un unico punto vendita, meglio se già preparati, da mettere in tavola in pochi minuti. Il grande successo dei “pronto cuoci” nelle macellerie o delle verdure toelettate e confezionate dei fruttivendoli ne sono una riprova. “Chiaro – spiega il presidente di Confcommercio Sergio Rebecca –, tutto questo ha un costo che si riflette sul prezzo finale. Ricordiamoci poi che il negoziante seleziona i prodotti, consiglia le tipologie più adatte ai gusti del cliente, verifica la qualità cambiando i fornitori non affidabili. Non penso che il consumatore sia più disposto a rinunciare a determinati servizi. E anche se lo fosse, già oggi ha la possibilità di risparmiare molto scegliendo i prodotti di stagione, di provenienza locale, che si trovano in tutti i negozi”. Un risparmio che diventa ancor maggiore se accetta anche di ritornare a pulire la verdura, togliendone le parti inutilizzabili, perdere tempo a lavare l’insalata, sbucciare i fagioli, ed eseguire tutte quelle preparazioni a cui erano abituate le massaie di una volta e per le quali nessuno sembra avere più tempo e abilità per eseguirle quotidianamente.
“Ovvio dunque – rincara Rebecca - che se si va a confrontare il prezzo del prodotto “grezzo” direttamente sul campo, senza mettere in conto il lavoro quotidiano del negoziante, si fa presto a fare della facile demagogia sui vantaggi del rapporto diretto consumatore- produttore. Ma poi, alla luce dei fatti, chi vuole impegnarsi nel settore distributivo deve valutare, se vuole rimanere sul mercato, una serie di costi necessari ed ineludibili, oltre al corretto guadagno sul proprio lavoro, che necessariamente influiscono sul prezzo. Selezionare il prodotto, proporre solo, ad esempio, frutta di un calibro definito ed eliminare lo scarto, pagare i costi fissi di un’attività commerciale, sostenere la pressione fiscale che hanno i nostri operatori, ben diversa da quella degli agricoltori, che risultano molto spesso essere contribuenti minimi: tutto ciò ha un costo che inevitabilmente ricade sui consumatori, chiunque ci sia dall’altra parte del banco, commerciante o contadino ”.
“Non credo infatti – conclude il presidente Sergio Rebecca - che un agricoltore possa fare meglio ed ad un prezzo più conveniente e l’esempio è sotto gli occhi di tutti: oggi ci sono ristoranti che offrono menu completi a dieci euro, un prezzo che spesso ci si sogna se si va a mangiare nel più semplice agriturismo dove in teoria, e troppo spesso solo in teoria, l’agricoltore dovrebbe preparare e servire solo ed esclusivamente i prodotti provenienti dalla propria azienda agricola. Più filiera corta di quella”.