lunedì 19 dicembre 2011
“LA MANOVRA MONTI SMANTELLA
IL COMMERCIO. LE LIBERALIZZAZIONI ATTESE DAGLI ITALIANI SONO BEN ALTRE”
Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza, interviene sulle misure del provvedimento oggi votato alla Camera: “Stiamo ancora pagando gli effetti della mancanza di regole sul mercato finanziario e ora ricadiamo nello stesso, grave, errore”
Comunicato del 19 dicembre 2011
“Smantellare il commercio e perdere qualsiasi controllo sugli insediamenti urbanistici a fini commerciali, per “salvare l’Italia”: se è questa la soluzione del governo Monti, l’Italia è inevitabilmente destinata a peggiorare i propri mali”. Bastano queste parole per evidenziare la forte preoccupazione del presidente della Confcommercio di Vicenza Sergio Rebecca sui provvedimenti della manovra Monti, che riguardano gli esercizi commerciali e la liberalizzazione delle attività economiche.
“Siamo enormemente delusi su come si è agito – rincara la dose Rebecca - poiché la voce grossa e potente dei poteri forti ha ottenuto da questo Governo ciò che voleva, ovvero mano libera sulla rete commerciale e il suo futuro. Senza valutarne le conseguenze disastrose sul commercio di vicinato, sul servizio di prossimità, di fatto vanificando gli sforzi di tutti coloro, in primis delle associazioni come la nostra, di rivitalizzare i centri storici ed i quartieri. Con questo favore alle grandi strutture di vendita, che di fatto ottengono di poter aprire 24 ore su 24, festivi compresi, si obbligano i piccoli esercizi commerciali ad una condizione insostenibile, a un surplus di costi e di lavoro che li metterà in ginocchio. Come tutto questo possa centrare con le strategie per “salvare l’Italia”, francamente non lo capiamo, anzi, ci preoccupa molto. Ad oggi, l’unica spiegazione che ci è chiara è che liberalizzazioni toccano solo gli orari dei negozi e, fra qualche mese, la programmazione in materia di commercio, mentre non si parla minimamente di introdurre alcuna reale concorrenza e nemmeno di togliere rendite di posizione in altri settori, nei quali è prioritario introdurre assetti di mercato realmente competitivi, ovvero Ferrovie, gestioni autostradali e aeroportuali, governance bancaria e assicurativa, ordini professionali. Queste sarebbero le vere liberalizzazioni che possono agevolare la ripresa e di cui i cittadini sentirebbero davvero beneficio! . E il commercio è certamente il comparto in cui hanno più fortemente operato i processi di liberalizzazione, a partire dalla prima riforma Bersani del 1998. Che il settore poi, sia già ampiamente liberalizzato lo dimostra anche l’ampio turnover di chiusure e di aperture di decine di migliaia di imprese all’anno. Nei primi nove mesi del 2011 si sono registrate oltre 33mila iscrizioni e oltre 46mila cessazioni nella distribuzione al dettaglio. Quindi, il ricambio tra imprese del commercio al dettaglio che aprono e che chiudono è elevatissimo”.
In effetti, la manovra del governo Monti, che sta per essere approvata definitivamente del Parlamento, per il settore commercio stabilisce la libertà totale degli orari dei negozi e quella di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. In pratica: una rivoluzione che sicuramente andrà a modificare l’attuale asset della rete commerciale esistente.
“Togliere le regole, lasciare che sia il mercato ad autodeterminarsi – spiega Rebecca – lo abbiamo visto cosa significa. Tutti stiamo pagando infatti le conseguenze di aver lasciato liberi i mercati finanziari, con la nascita delle varie “distorsioni” che oggi chiamiamo con il nome “derivati”, “sub-prime” e altri fittizi prodotti della logica del profitto a tutti i costi. Perdere il controllo sullo sviluppo e sulle reali conseguenze di un determinato settore, nel nostro caso il commercio - rincara il presidente -, far sì che il territorio diventi terra di nessuno e di tutti, dove chiunque può decidere di insediare un punto vendita di grandi dimensioni senza tener conto degli equilibri estremamente precari in cui, di fatto si trovano ad operare migliaia di imprenditori commerciali, significa lasciare che a prevalere siano i più forti, con buona pace per chi, come noi, da sempre si batte per far coesistere piccola, media e grande distribuzione, per offrire ai consumatori un servizio di vendita capillare, che resti il motore della rivitalizzazione dei centri storici e dei quartieri”.
Gli ultimi dati sull’andamento del commercio non sono per niente confortanti; si parla di un calo di almeno il 15% della domanda in generale e di vendite in continua diminuzione da almeno 3 anni. Gli acquisti spesso aumentano solo quando c’è il “metà prezzo” o sconti o vendite sottocosto e sono molti gli esercizi commerciali che non sanno se continuare l’attività o se conviene invece chiuderla. In questa situazione, appare evidente che, più che occasioni d’acquisto 24 ore su 24, gli italiani avrebbero bisogno di più soldi in tasca da poter spendere.
“L’aumento della benzina, dell’iva, l’introduzione dell’IMU, solo per citare alcune degli interventi più immediati per far cassa, stanno impoverendo le famiglie italiane e faranno ulteriormente crollare i consumi – spiega Rebecca -. Il commercio non può che risentirne in negativo, anche al livello occupazionale. In più, basta guardare qualsiasi giornale o notiziario per capire che le prospettive non sono migliori. E se, come ormai appare evidente, siamo in una fase di recessione dell’economia, avremmo bisogno di misure capaci di dare nuovo vigore al sistema delle imprese di ogni dimensione, quelle che danno lavoro e mettono in moto un circolo virtuoso di ricchezza. Ma nelle misure adottate da governo Monti, gli spiragli di luce in tal senso sono molto flebili”.
In tutti i paesi dell’Unione europea – continua Rebecca ritornando a parlare di aperture dei negozi - gli orari sono regolamentati, sia pure con estensioni diverse legate anche alle condizioni climatiche ed ai costumi locali, e in nessun paese vi è libertà di apertura per 365 giorni l’anno o per tutte le domeniche o tutti giorni festivi, come dovrebbe avvenire in Italia. Se dobbiamo guardare all’Europa, recepiamo almeno le indicazioni in modo corretto! La via della completa liberalizzazione degli orari, anche nelle giornate domenicali e festive, non lo si fa né in Francia, né in Germania. Ovunque poi, anche quando sono previste eccezioni, si stabiliscono obblighi di chiusura per le più importanti festività religiose o nazionali. Ricordiamoci che fin dalla riforma Bersani del ’98 i negozi e i supermercati in Italia possono stare aperti 13 ore nell’arco della giornata, dalle ore 7 alle 22.00 e nelle zone turistiche o nei comuni ad economia turistica, anche la domenica. A chiunque è chiara l’agenda delle priorità d’azione, tra le quali certamente non compare l’ennesima “liberalizzazione” di facciata del settore più concorrenziale che ci sia oggi in Italia, appunto il commercio”.