La successione del rapporto di agenzia a seguito di acquisto d’azienda è regolata dall’art. 2558 c.c., che prevede quale effetto naturale del trasferimento dell’azienda, la successione dell’acquirente in tutti i rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale; si tratta quindi di un vero e proprio trasferimento automatico del rapporto obbligatorio, non subordinato al consenso del soggetto ceduto (ovvero l’agente).
Il subentro del cessionario nei contratti di agenzia è automatico, ma non inderogabile, perché i contraenti potranno pur sempre convenire diversamente.
Secondo la maggioranza della giurisprudenza, il contratto di agenzia non riveste carattere personale, ma costituisce un tipico contratto attinente all’esercizio dell’impresa e all’organizzazione della struttura aziendale. Di conseguenza, anche il contratto di agenzia viene ceduto al cessionario e prosegue con esso.
Essendo che il cessionario subentra in tutti i contratti che non hanno carattere personale, tutti i mandati di agenzia in corso con il cedente proseguono automaticamente con il cessionario, senza bisogno di modificare il contenuto degli atti stessi, essendo sufficiente la mera comunicazione all’agente della cessione dell’azienda.
Non vi sarebbe obbligo, per colui che cede l’azienda, di informare preventivamente i propri agenti della cessione e dell’identità del cessionario. Però, visti gli artt. 1175 e 1375 c.c., le parti devono comportarsi secondo correttezza e il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
Riguardo alla possibilità di recesso da parte dell’agente, egli può recedere dal rapporto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, unicamente se sussiste una giusta causa. L’agente, dunque, non gode di una libertà di recesso assoluta, bensì condizionata alla sussistenza di una condizione.
Pertanto, se l’agente interrompesse il rapporto di agenzia con il nuovo proponente senza allegare delle ragioni per cui ritiene impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto, motivata da ragioni di consistenza oggettivamente valutabile, non gli sarebbe dovuta né l’indennità suppletiva di clientela, né l’indennità meritocratica, in quanto lo scioglimento non è ad opera della casa mandante ed il recesso è su iniziativa dell’agente (Art. 13 dell’AEC e Sentenza Tribunale di Perugia del 17/05/2011). Per cui l’agente, in assenza di una giusta causa, per recedere deve anche dare il preavviso.
La giusta causa sussiste nel caso in cui per ragioni estrinseche al contratto, non inerenti direttamente ad esso, la sostituzione del cessionario al cedente quale controparte del rapporto contrattuale realizza una situazione in vista della quale l’agente si sarebbe rifiutato di contrarre se l’avesse conosciuta in tempo utile (Tribunale Pavia, Sez. lav., n. 245 del 02/08/2019).
Per portare un esempio pratico, potrà essere invocata quale causa di scioglimento del rapporto di agenzia l’insufficiente sicurezza di solidità finanziaria dell’acquirente (cessionario), che non garantisce al terzo contraente (l’agente) un regolare adempimento delle obbligazioni derivanti dalla prosecuzione del contratto di durata e, più ampiamente, una regolare prosecuzione dell’attività dell’azienda cui è connessa l’attività dell’agente (Cassazione civile, Sez. lav., n. 21445 del 12/10/2007). Si configura, ad esempio, una giusta causa quando l’agente recede perché la società cessionaria, visto il bilancio e la relazione del collegio sindacale, non mostri di offrire sufficienti garanzie di solvibilità e di consistenza economica e patrimoniale.
Un altro esempio di giusta causa si ha quando l’agente faccia valere l’identità o la qualità personale dell’imprenditore alienante come fattore che è stato determinante per il suo consenso alla stipulazione del contratto, e di conseguenza questo fattore determinante viene meno se cambia l’imprenditore (ovvero il preponente).
Infine, va detto che all’atto della cessione dell’azienda, non va liquidata all’agente alcun tipo di indennità relativa alla cessazione del rapporto (Firr, indennità sostitutiva di clientela, indennità meritocratica), semplicemente perché il rapporto in realtà non viene risolto, ma cambia solamente il soggetto preponente.
I debiti dell’azienda ceduta
Mentre l’art. 2558 c.c. disciplina la successione dei contratti, il 2560 c.c. si occupa della sorte dei debiti dell’azienda ceduta.
In caso di trasferimento di azienda del preponente, la successione dell’acquirente nel rapporto in essere con l’agente non comporta un automatico accollo cumulativo dei debiti anteriori all’alienazione (ad esempio provvigioni non pagate).
Infatti, l’alienante non è liberato dei debiti nel caso in cui essi siano anteriori al trasferimento, a meno che i creditori vi abbiano consentito. Inoltre, dei debiti in questione risponde anche l’acquirente dell’azienda, ma solo se essi risultano dai libri contabili obbligatori (comma 2).
Pertanto, chi volesse far valere i crediti che vanta contro l’acquirente dell’azienda ha l’onere di provare che questi siano iscritti nei libri contabili obbligatori, essendo la sola e presunta trasmissione dei documenti contabili relativi al contratto di agenzia non sufficiente a soddisfare l’onere della prova (Cassazione civile n. 4367/1998; Cassazione civile, Sez. lav., n. 15956/2017: nel caso si specie la Cassazione ha respinto la domanda di pagamento di provvigioni maturate in epoca antecedente alla cessione perché non risultava provata la loro inclusione nei libri contabili obbligatori dell’impresa alienante).
Si faccia attenzione che riguardo ai debiti si fa riferimento ai debiti in sé soli considerati, e non a quelli che si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del 2558 cc. Per questa ragione, ad esempio, in caso di recesso dell’agente, l’indennità di incasso è dovuta dal cedente e non dal cessionario (Sentenza Tribunale di Perugia del 17/05/2011).