Nel caso in cui il rapporto di agenzia sia sciolto con l’esclusione dei crediti a esso relativi dallo stato passivo del fallimento del preponente, l’agente ha diritto di esserne ammesso per i crediti maturati a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e suppletiva di clientela. Sulla base di questo principio la Cassazione, con la sentenza 10046/2023, ha sovvertito l’orientamento precedente della giurisprudenza di legittimità e di merito. In base all’articolo 2751-bis, n. 3, del codice civile i crediti per provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione, come le indennità per la cessazione del rapporto, godono di privilegio e pertanto andranno soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti chirografari.
In relazione alle indennità di fine rapporto, gli Accordi Economici Collettivi (AEC) divergono tra loro. L’AEC Settore Commercio prevede che l’indennità spetta se il contratto di agenzia si scioglie su iniziativa della casa mandante, quello dell’Industria la esclude laddove il contratto d’agenzia si sciolga per un fatto imputabile all’agente. Di conseguenza, se è il fallimento a interrompere il contratto d’agenzia, in base all’AEC Commercio l’indennità suppletiva di clientela potrebbe non spettare, in quanto il contratto non si è risolto per decisione della mandante; mentre a norma dell’AEC Industria tale indennità dovrebbe ugualmente spettare in quanto il contratto non si è risolto per decisione, né colpa dell’agente.
In questo contesto, la maggioranza dei Tribunali fallimentari non riconosce il diritto degli agenti alle indennità di fine rapporto se il contratto si interrompe per la dichiarazione di fallimento della mandante, nonostante sia la stessa legge fallimentare a sancire che le indennità di un agente di commercio sono «privilegiate». Così, peraltro, si è più volte espressa la stessa giurisprudenza di legittimità, ritenendo non dovute le indennità in quanto il fallimento non rientra tra le volontà della mandante.
Nella sentenza 10046/2023 per la Cassazione trova invece applicazione l’articolo 72 della legge fallimentare, secondo cui l’esecuzione del rapporto di agenzia «rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi ovvero di sciogliersi dal medesimo» e non l’articolo 78 della stessa legge, che prevede lo scioglimento automatico del contratto stesso in caso di fallimento del mandatario e non della mandante. Il rapporto contrattuale non viene quindi sciolto a seguito della mera dichiarazione di fallimento, ma rimane sospeso fino a quando il curatore non opti per la prosecuzione o la cessazione dello stesso, con conseguente diritto dell’agente, in quest’ultimo caso, alle indennità di fine rapporto.
Per la Cassazione la dichiarazione di fallimento non è allora una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro, ma comporta una fase di sospensione. Questa fase, si giustifica perché il curatore, a tutela dei creditori, abbia tempo per valutare la convenienza di una scelta, autorizzata dal Comitato dei creditori, fra il subentro del rapporto o lo scioglimento dello stesso.